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Un paesaggio incantato:
Il "muro a secco" e il "carrubo"

In nessun altro luogo al mondo, se non qui nella terra iblea, c’è una cornice così sublime che si ripete all’infinito fra gli altopiani, le colline e i pascoli. La cornice unica al mondo, è il MURETTO A SECCO, il frutto paziente del lavoro contadino, delle mani callose che ponevano, pietra su pietra, le fondamenta di questi muri. Erano e sono le splendide decorazioni della campagna iblea, le sole naturali recinzioni dei campi, che seguono il naturale digradare delle valli e della natura indigena, delle coltivazioni di ulivi e carrubi. Se un turista percorre una strada e incrocia con lo sguardo uno di questi muretti, inevitabilmente corre sul ciglio della via, per accarezzare le pietre da cui è fatto, estratte dal calcare tenero, massi che raccontano secoli di storia.

Il paesaggio ibleo più tipico è il carrubo o un ulivo millenario, orlato dai muretti a secco.. Oppure un classico carrubeto che confina con una masseria. Qui i muretti a secco non sono più semplici recinzioni, ma inespugnabile difesa . "La pietra vissuta" che cinge tante masserie, nel Cinquecento e nel Seicento assolveva la funzione di fortificare gli abitati rurali . Questi muretti sono alti anche quattro metri perché erano una valida protezione per i contadini e riuscivano a tenere lontani i lupi.

il "carrubo"

Secondo Hoofer, quello che Omero riteneva il "Lotus", il loto di cui si cibavano i popoli delle coste africane e i primi abitatori della Sicilia, altro non era che il Carrubo. Per il grande poeta greco, le carrube erano il cibo più prezioso per i Lotofagi che abitualmente si nutrivano solo delle ruvide ghiande. "E chi sa, che quelle innumerevoli cavità quadrate scavate dalla mano dell’uomo sui lati del vivo sasso nella lunga valle d’Ispica tra Spaccaforno e Modica , non siano indizio di una società primitiva qualunque, venuta a stabilirsi là per l’allettamento che le offriva quest’albero così copioso e così prospero in quei dintorni?", scrisse Clemente Grimaldi nel 1895, nel suo trattato sul carrubo.

Trascendendo le influenze letterarie e leggendarie, il carrubo è cresciuto rigoglioso nell’area iblea, come nei paesi africani, restando spesso una macchia bassa , che attecchisce bene nei terreni calcarei o vulcanici. Il carrubo, chiamato dai botanici "ceratonia siliqua", era nominato dai Greci "ceration" e dai latini "siliqua" che vuol dire baccello, mentre in Sicilia veniva comunemente detto "carrua" sino all’attuale "carrubo", confondendo il frutto con l’albero. Questo albero è il naturale completamento della campagna iblea e i suoi frutti, servono alla produzione di saccarosio, mangimi e sciroppi, mentre dai semi si ricava la ottima farina, che viene anche destinata agli usi più diversificati, come i concianti e i conservanti. Le api industriose trasportano il polline dai fiori maschi ai fiori femmine :un lavorio continuo che fa nascere il pregiato miele di carrubo.


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